Il 26 ottobre si tiene l’ennesimo sciopero dei trasporti, che interesserà anche Roma e la “nostra” disastrosa ATAC. L’11 novembre si svolgerà invece il referendum consultivo lanciato dai Radicali, sostenuto da larga parte del PD e stranamente “silenziato” dal M5S (tanta enfasi sulla democrazia diretta, ma quando la domanda da porre ai cittadini non la sceglie la Casaleggio & Associati, improvvisamente il MoVimento perde interesse alla risposta…).
Per i sostenitori del SI’ al referendum ATAC non ha funzionato in quanto “pubblica”, clientelare ed inefficiente. Questo a mio parere, spiega solo una parte del problema. Molto del debito dell’Azienda è proprio nei confronti del Comune (una specie di partita di giro). L’evasione dal pagamento dei biglietti è alta, sul 6%, ma non abnorme se si considera che altre aziende di TPL si attestano sul 3%. E in molte altre capitali europee il trasporto è ugualmente pubblico, e funziona bene.
Liberalizzare il settore potrebbe consentire almeno di “ricominciare daccapo”, ed è senz’altro meglio dell’orrendo concordato preventivo varato dalla Sindaca Raggi, che punta proprio a salvare il “carrozzone” senza alcuna reale prospettiva di risanamento.
Ma come a Roma è fallito il sistema della S.p.a. in mano pubblica, altrove è stato il mercato a fallire: basta pensare ad Autostrade S.p.a. ed alla tragica vicenda del Ponte Morandi. Privato non significa efficiente e – soprattutto – efficiente non significa sufficiente.
A Roma, con le sue periferie sterminate, in cui la rete va quasi ricostruita da zero, bisogna spendere soldi. Servono nuove tratte di binari per il tram, corsie preferenziali, un nuovo parco auto ecologico: enormi investimenti realizzabili solo in forza di una scelta politica che non guardi al profitto.
La libertà di muoversi fa parte della nostra qualità della vita: esigiamo dal Governo nazionale, dalla Regione e da Roma Capitale un drastico cambio di rotta. ATAC non può essere salvata: sia lasciata fallire per liberare la città dal debito. Ricominciamo daccapo, sì, ma con un’azienda pubblica VERA – non una finta S.p.a. – che riassuma i lavoratori che servono (cioè, fondamentalmente, gli autisti), utilizzando fondi pubblici e, magari, finanziamenti a tassi agevolati dalla Cassa Depositi e Prestiti.
Una soluzione apparentemente complicata, mentre mettere tutto in mano ai privati sembra semplice. Ma, come ha detto qualcuno, non chiedetemi di essere semplice quando le cose, semplici, non sono.
Leggi qui il mio articolo sul referendum ATAC dell’11 novembre
#facciamopace QUI